Interview on Insound

INSOUND 12 – 2010

Electric Leak e l’agire nomade, tra musica e teatro.

di Andrea Laino

Il sistema delle residence, spesso considerato come “formula operativa” perlopiù dalle realtà teatrali e performative, può avere effetti interessanti se applicato alla musica. Soprattutto se a essere in gioco è una band ricca di talenti come quella degli EL: Alberto Fiori (piano Wurlitzer, elettronica), Giovanni Falvo (batteria e percussioni), Francesco Guerri (violoncello, elettronica), Christian Ferlaino (sax baritono, contralto e soprano). Musicisti attivi tra il jazz e il rock, la musica contemporanea e l’improvvisazione radicale, ci raccontano la nascita della band in occasione della presentazione del loro primo disco, registrato allo Studio Elfo (PC) e mixato da Serse Mai (Vasco Rossi). Di come la musica possa trovare linfa vitale confrontandosi con il teatro. Ci presentano infatti quello che è un vero e proprio spettacolo, a cura di Pietro Babina, con il sostegno di Santarcangelo dei Teatri 2008 – Ass.Ortosonico – Teatro Petrella di Longiano e di Teatrino Clandestino, Radio3 RAI – Battiti.

Quale è stata la cosa più importante per voi, per la crescita del progetto dal punto di vista progettuale e artistico?

C. F.: Dal 2006 il progetto era ancora troppo sul nascere per avere una prospettiva chiara di quello che avremmo fatto. C’erano le esperienze dei dui: il mio con Alberto e quello di Giovanni e Francesco che all’epoca lavoravano con un danzatore (gruppo Mirasole ndr.).
Il gruppo è stato uno sviluppo naturale della voglia di integrare il discorso sull’elettronica ampliando la formazione ad altri strumenti acustici.
Quello che ci ha favorito dal punto di vista artistico è stata l’attitudine all’improvvisazione, perché le prime prove consistevano in questo ed era molto facile far uscire del materiale interessante. Questo finché non è arrivata la svolta “concettuale”, a partire dal 2008 iniziando a ragionare sulle residenze. Un impianto fortemente estraneo all’ambito musicale, soprattutto in Italia, perché si tratta di avere uno spazio per un tot di giorni in cui ci si concentra e si sviluppa un particolare progetto.

Qual’era il tema su cui vi siete concentrati nel 2008?

C. F.: L’idea era quella di lavorare sul rock, sulle contaminazioni con la musica Dance, di muoversi trasversalmente nelle nostre influenze che sono varie, dal jazz alla musica contemporanea.
La svolta è stata proprio quella di potersi dedicare a un progetto promosso da un istituzione, con i fondi e il tempo per farlo. E poi sai, non capita quasi mai…non solo di stare su un’idea molto tempo, da mattina a sera, evitando la dispersione delle prove intese in modo “classico”. Si vive insieme e hai un teatro a disposizione. E in più con tutta l’attrezzatura necessaria per lavorare.
E poi l’ultima novità che si collega a questo “metodo” di produzione è stata questa, quella di lavorare con Pietro del Teatrino Clandestino.

In cosa consiste questo nuovo progetto?

C. F.: Sostanzialmente si tratta di uno spettacolo musicale. La musica non è cambiata molto, ma abbiamo aggiunto delle registrazioni che facciamo girare dal vivo. In più si è lavorato sulla messa in scena della performance. Con Pietro abbiamo predisposto una serie di neon che ci circondano, che controlliamo noi dal vivo sul palco, e scritto una partitura scenica che integri i neon con la musica.

Assieme ai neon attiverete anche delle registrazioni su nastro. Hanno una componente testuale mi sembra di capire, a differenza del disco che è privo di ciò…

C. F.: Si, sono dei frammenti testuali legati ai concetti su cui abbiamo lavorato a Santarcangelo. Testi che hanno a che fare con l’idea espressiva su cui abbiamo lavorato musicalmente e che rimandano intrinsecamente alla scelta dei temi e di conseguenza dei titoli dei brani. In parte integra un immaginario inespresso, se non con la musica.

Come gestite il dialogo tra scrittura e improvvisazione?

C. F.: Nella prima residenza a Santarcangelo abbiamo dedicato gran parte del tempo all’improvvisazione, cercando di fissare e perfezionare le idee che venivano prodotte dal nostro interplay; inoltre avevamo un repertorio di brani più o meno definiti dal punto di vista degli arrangiamenti ed è stato quasi naturale cercare di integrare questi materiali.  Nel prossimo progetto al contrario stavamo pensando di sperimentare nuovi metodi. Abbiamo già iniziato a lavorare su parecchio materiale, ma è ancora presto per  parlarne. Sicuramente però il prossimo sarà un disco molto diverso.

Sono curioso riguardo alla divisione in tre parti della tracklist, e poi questi nomi bizzari a cosa si riferiscono?

C. F.: La divisione in tre parti rispecchia l’idea guida del disco. Abbiamo poi pensato di dividere questi tre brani in 17 tracce, in parte per semplificare la fruizione del disco e in parte per distinguere dei movimenti all’interno di ciascun brano.

Un concept?

C. F.: Più che un concept si è trattato di lavorare su immagini o su spunti narrativi che ci interessava sviluppare musicalmente.

G. F.: si, per esempio su Tibilisi abbiamo lavorato nel tradurre musicalmente spunti narrativi proposti da Francesco: immagini relative all’arte in una città in guerra, sotto i bombardamenti…

Il disco sembra avere risposte positive dalla critica…vi state muovendo anche per trovare un’etichetta?

C. F.: il disco è pronto, ora lavoriamo sulla distribuzione. E per il resto ci muoviamo sull’aspetto live.

Che è anche l’occasione in cui si vendo di più i dischi oggi….